Qualche giorno fa, guardando la televisione, ad un certo punto una frase mi ha fatto sobbalzare sul divano, svegliandomi dal torpore pomeridiano. Sullo schermo, il giovane candidato alle primarie del centro sinistra, Matteo Renzi, dichiarava tutto orgoglioso che il suo sogno da bambino fosse diventare camionista. Fin qui niente di strano, anzi in linea con le aspirazioni della maggior parte dei bimbi, che vedono il loro futuro come poliziotto, pompiere, pilota d’aereo. L’imponenza di un camion e il suo “pilota” non possono del resto che ricordare, agli occhi di un bambino, un’astronave spaziale ed il suo invincibile, romantico capitano.
Ma, se ritorno col pensiero a Renzi – da addetto ai lavori – non posso non auspicarmi che la sua aspirazione gli abbia conferito una sensibilità particolare verso le problematiche del settore. E non resisto alla tentazione di spingermi oltre, lasciando scatenare la mia fantasia: immagino un Matteo Renzi non impegnato in politica, ma alla guida di un mezzo da lavoro.
Eccolo: lo si riconosce subito tra i suoi colleghi, per via dell’uniforme con ancora le pieghe della stiratura. Non è amatissimo, perché vuole fare il primo della classe e perché di fronte alla bacheca comune mostra il suo ininterrotto dominio nella classifica aziendale dei minori consumi. Il suo camion è quello sempre pulito, dentro e fuori. La sua cabina si riconosce perché è l’unica con la playstation.
E gli altri politici in versione camionista? Nel parcheggio di una rinomata trattoria del Modenese, è parcheggiato un vecchio OM a tre assi. Lo guida Bersani che, come tutti i santi giorni, consuma il suo pranzo a base di tortellini, al solito tavolo, con i soliti colleghi. A chi lo prende in giro, perché in tutta la provincia non esiste un camion vecchio come il suo, lui risponde col racconto di un amico su una cooperativa russa… che ne ha ancora una trentina, perfettamente in ordine. E poi, con l’accorpamento delle province, non è detto che non se ne scoprano altri in zona…
Nel frattempo, in autostrada, c’è la coda al casello. Un camion è fermo da due ore alla stazione di pagamento. Si tratta di Vendola che sta filosofeggiando con una giovane casellante sulla mancanza di emozionalità dei telepass, dovuta al loro funzionamento continuo 24h/24. Con le rappresentanze sindacali sta portando avanti un’istanza ad hoc, devono avere anche loro una pausa concordata. Il suo veicolo è facilmente riconoscibile perché sul parabrezza è riportato l’orario di lavoro come per i negozi.
E dall’altra parte della barricata? C’è chi sceglie ad esempio il camion in funzione degli ampi spazi interni e della comodità delle cuccette. Si mormora che si organizzino anche dei festini al suo interno, ma si sa, tra camionisti sono molte le malelingue. Alla guida di un mezzo militare troviamo La Russa. Per lui lo spostamento dei mezzi blindati Lince su bisarca rappresenta un modo concreto per fare qualcosa di utile per la sua nazione.
Ad un posto di blocco c’è poi un camion da 800 cavalli, la pattuglia notifica all’autista che il semirimorchio supera la lunghezza massima consentita. Scajola, alla guida del mezzo, si giustifica dicendo che, dopo la partenza (con il solo trattore), il semirimorchio possa solo essere stato agganciato a sua insaputa e che comunque alla fine del viaggio l’avrebbe venduto. In piazza del Duomo a Milano fa bella mostra di sé un camion unico nel suo genere, con la cabina color oro con fregi neri, gli allestimenti interni in oro zecchino e le tende in broccato. Al volante, tempestato di Swarovski, troviamo la signora Santanchè: ogni volta che sale e scende dalla cabina con i tacchi, non può esimer- si dal lamentarsi con quei progettisti che hanno ignorato le esigenze delle autiste con i tacchi.
Un camion verde viene avvistato sull’autostrada Torino-Milano, tra- sporta acqua in cisterna. Attenzione non è acqua qualunque, si tratta della famosa acqua del Po, raccolta in alta quota e trasportata fino a Venezia via strada dal buon Bossi. All’arrivo in Laguna l’autista varesino scarica l’acqua direttamente sul Canal Grande, fumando un sigaro e mormorando qualche frase in celtico.
Sempre in autostrada un pullman di pellegrini diretti sul Ghisallo è guidato da un brizzolato autista in completo blu, con cravatta regimental. Durante il tragitto Casini, oltre a guidare, intona al microfono i classici che hanno accompagnato le nostre giornate in oratorio.
Infine c’è un autista che, fermo in area di sosta, sta smanettando sulla tastiera per comunicare con la sua impresa. In realtà passa più tempo dietro tablet, smartphone, e computer che a guidare. Lui sostiene che, per diventare dei grandi autisti, occorra essere sempre connessi in rete. La rete, non quella autostradale, per lui è democrazia. Del resto, per Grillo – è questo il nome dell’autista – il camionista non lo puoi fare per più di dieci anni, e se fai un incidente devi ritirarti.
Tiriamo insieme le somme di questo sfogo immaginifico. Tutto sommato, di fronte a tutti questi profili, forse è meglio che i politici non abbiano voluto perseguire l’eventuale sogno di fare da grande il camionista. Magari avrebbero dovuto fare altro, non sta a me giudicare… Ma una cosa è certa: se c’è davvero un camion in qualche angolo del loro cuore, speriamo serva per aiutare il nostro disastrato settore.