Davvero complicata la situazione politica in questo Paese. A malincuore dobbiamo quotidianamente sopportare le vacuità verbali dei vari leader. Ma non basta. Vorrei che si mettesse più attenzione da parte dei giornali e della televisione in merito ai finanziamenti ai partiti, dati per oltre 2 miliardi e mezzo annui e dei quali non esistono regole fiscali e di rendicontazione documentata ai fine delle dichiarazioni dei redditi.
Parliamo di progetti futuri. Sarebbe davvero straordinario che si ponessero in atto regole condivise tra gli stessi partiti, in base alle quali ogni candidato di partito, movimento o coalizione fosse “obbligato” a parlare di temi concreti esprimendo le proprie posizioni e dichiarando attraverso quali interventi politici potrebbero essere messi in via di risoluzione le grandi “croci” dell’Italia. Mi chiedo se ci possa essere ancora gente che crede a chi va promettendo l’eliminazione dell’IMU o sbandierare riforme che potevano essere fatte nella precedente legislatura grazie ad una maggioranza tale che avrebbe potuto ottenere anche un largo consenso da parte dei cittadini. Infatti la riforma dei costi della politica, della legge elettorale, del vincolo di mandato per gli eletti, della riduzione dei parlamentari, del tetto alle spese della politica ed agli stipendi dei superburocrati, dei criteri di ineleggibilità causa processi in corso o condanne avute in diversi gradi di giudizio, della gestione dei finanziamenti ai partiti. Sono tutti temi maledettamente ripetuti e oramai diventati stracotti. Il muro di gomma della politica vince sull’indignazione dei cittadini, portandoli allo sfinimento, all’indifferenza comportamentale, allo schifo più completo figlio dell’antipolitica. Molti politici dalla mente distorta, ci guazzano in situazioni del genere.
Una riflessione merita anche la gestione politica fatta dai tecnici. A mio parere è più forte la delusione finale che l’entusiasmo iniziale con il quale era stato invocato e supportato il Professore. Da qualunque parte si guardi l’operato di questo governo non si possono nascondere due criticità tanto clamorose quanto determinanti: una riguarda l’aumento indiscriminato delle tasse di cui, però, sono responsabili tutti i partiti che hanno sostenuto e votato i provvedimenti del governo tecnico, mentre la seconda è stata l’incapacità di procedere a tagli rigorosi della spesa pubblica, così come nel mettere in campo una nuova legge elettorale. Altro atto buffo del governo dei tecnici è stato il flop dovuto al lavoro dei tre superconsulenti nominati ad hoc: Bondi, Amato, Giavazzi. Sarei lieto di zittirmi se qualcuno potesse spiegare il lavoro pratico svolto dai tre in questione.
L’altra considerazione miserevole è il meccanismo improprio che ha rimesso in gioco, anche se con molte riserve, sia il PDL che la Lega. Non sono bastati gli scandali vergognosi che hanno caratterizzato la gestione dei leghisti e quella di molti deputati, consiglieri provinciali e regionali del PDL. Una vera rassegna di ladri e di disonesti, faccendieri del tutto degni della scuola dei vari parlamentari, modelli sodali del cavaliere e del senatur. Per la nota legge di Murphy li troveremo ancora candidati e a sprizzare promesse al veleno soporifero durante tutta la campagna elettorale. Non hanno titoli di credito anche quelli del PD, che non hanno avuto il coraggio di sdoganare definitivamente dalle acque torbide del conservatorismo il loro partito, respingendo la venuta propiziatoria di Matteo Renzi. Per non rinunciare all’ortodossia della propria struttura, il partito della Rosy e del seppur volenteroso Bersani ha preferito tenersi vicino un alleato che potrà rivelarsi, nel breve tempo, più scomodo che utile, anziché aprire ai liberal progressisti. Questa decisione ha ridato forza all’unto del signore, che ha ritrovato, fra le frattaglie del partito, una certa energia per far vedere che è sempre e solo lui l’unico capace di gestire il PDL.
Seppure controvoglia, il professore, con in tasca il sostegno dell’Europa e “nel taschino” i dubbi del Quirinale, ha deciso di scendere in campo, facendo politica a fianco di un evergreen eterno secondo, di un fantasma in Ferrari e di un personaggio ricco più di ombre che di luci. La scena non finisce qui: la lenta agonia di Di Pietro e l’incognita di Ingroia sono altre due piccole quinte politiche, che avrebbero avuto la possibilità di essere coscienze critiche anziché uccelli del malaugurio. Tutta da vedere la partita dei grillini, ai quali non manca la voglia di sdoganarsi dalla paranoia populistica del fondatore e quella di un outsider come Giannino, al quale centinaia di migliaia di piccoli imprenditori vorrebbero affidare la bandiera della resistenza, delle riforme e della ripresa.
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