Ho avuto di recente l’opportunità di confrontarmi sul tema dell’Intelligenza Artificiale e del suo impatto nel mondo dei trasporti e dell’automotive. Il tema non può che essere complesso, se non altro perché ciò che oggi è innovativo in questo ambito domani apparterrà già al passato dell’evoluzione tecnologica.
Senza entrare negli aspetti più informatici, su cui peraltro sento di non avere una competenza adeguata, la riflessione che mi sento di fare è che, come spesso succede, non stiamo affrontando una rivoluzione bensì, secondo la logica del possibile adiacente sviluppata da Steven Johnson nel suo Where good ideas come from: the natural history of innovation, l’esito di un lungo percorso evolutivo che, a un certo punto, trova le condizioni ideali per divenire “rivoluzionario”. Del resto, si parlava di intelligenza artificiale già negli anni ’70, ma è solo oggi, con lo sviluppo della digitalizzazione e della connettività, che ha assunto un ruolo centrale nel dibattito economico e istituzionale, se non altro per gli impatti, specie nel mondo del lavoro, che ci aspettiamo.
Personalmente vedo l’intelligenza artificiale come un triangolo al cui vertice troviamo competenze, infrastrutture e tecnologie che devono consentire di vederla come un volano positivo del processo di crescita e di trasformazione sostenibile e competitiva delle imprese. Peraltro, ritengo che il primo principio per lavorare in modo efficace con l’intelligenza artificiale sia quello di “invitarla sempre al tavolo”, ossia di esplorare e comprendere in modo attivo quali siano le sue potenzialità e, soprattutto, quali siano i suoi limiti.
L’intelligenza artificiale rimane, infatti, uno strumento che, sebbene in grado di processare grandi quantità di dati e di generare output complessi, rimane tale e non deve essere intenso come un fine. Questo determina la necessità di mantenere l’elemento umano nel processo decisionale, ma soprattutto di mantenere la capacità di esaminare criticamente i dati prodotti dall’IA.
L’intelligenza artificiale, come tutte le trasformazioni dei processi produttivi, eserciterà un crescente impatto sul mondo del lavoro. Così come offre delle opportunità, al tempo stesso genera anche una legittima preoccupazione per mansioni e figure professionali che potrebbero scomparire ed essere sostituite da essa. La novità rispetto al passato, infatti, è che l’intelligenza artificiale rompe uno schema introducendo un elemento di delega nel modo in cui un’attività viene svolta.
A mio avviso, quello che sarà importante, non solo per mitigare gli impatti negativi, ma anche e soprattutto per trarne beneficio, dovrà essere la capacità di lavorare a livello di organizzazione aziendale. Ovvero, un’organizzazione aziendale che sia strutturalmente a supporto delle persone, allenate a rimanere rilevanti e competitive e che dovranno potenziare nel tempo competenze non solo metodologiche (tecniche), ma specialmente individuali e di gruppo (personali o soft), sempre più essenziali in contesti complessi che cambiamo velocemente e che grazie all’IA vedono cambiare il modo di lavorare. Il paradosso, se vogliamo, è quello di prolungare la rilevanza delle competenze in misura inversamente proporzionale alla velocità di cambiamento del contesto aziendale e lavorativo.