“Viviamo in un’epoca in cui la sola costante è il cambiamento e in cui le strutture di ogni tipo: stati, nazioni, partiti politici, imprese, istituzioni pubbliche e private di ogni genere, vengono rimodellate ex novo sotto la spinta degli eventi, quando non vengono semplicemente spazzate via”. Iniziava con queste parole del noto esperto americano di strategia militare Edward N. Luttwak la prefazione al libro “Strategia e Individuo” del Prof. Arduino Paniccia, a cui va il mio caro ricordo per essere stato un prezioso punto di riferimento sia negli ultimi anni universitari, sia durante i primi passi della mia carriera professionale.
Era il 1994, ma a rileggere queste parole, in fondo, sembra siano state scritte di recente. Il cambiamento è oggi, e forse più che in passato, l’elemento centrale della profonda fase di trasformazione che stiamo vivendo. Personalmente ho sempre ritenuto il cambiamento come un elemento neutro; le opportunità e i rischi che ad esso sono associati dipendono dalla capacità e volontà di sviluppare azioni di policy che lo sappiano gestire in modo adeguato, socialmente ed economicamente sostenibile. E le opportunità spesso sono frutto non di magiche condizioni di favore, bensì di un percorso che ha nel concetto di “possibile adiacente” sviluppato da Kauffman il suo passaggio centrale, concetto secondo il quale nuove forme, idee e organizzazioni emergono esplorando lo spazio delle possibilità vicine a quelle esistenti.
Nel contesto odierno, siamo consapevoli di essere entrati ormai da tempo in una fase di disordine strategico e di debolezza strutturale. Per decenni, le variabili politiche e strategiche su scala globale sono rimaste relativamente stabili, permettendo alle imprese e alle istituzioni di operare in un contesto prevedibile. Oggi questa stabilità è venuta meno. La costante, oggi, è la frammentazione del sistema normativo globale, con gli impatti che ne derivano sulle scelte economiche, di investimento e sulle catene di fornitura. L’instabilità non è una parentesi, ma un nuovo quadro operativo con cui tutti gli attori devono confrontarsi.
Di fronte al disordine strategico, è necessaria una forte capacità di orientamento. E in questo contesto così frammentato e competitivo, le associazioni di categoria – guardo in particolare al mondo dell’automotive che forse più di altri settori sta attraversando una fase storica di profonda e radicale trasformazione – si pongono sicuramente come soggetti che, più di altri, sono capaci di fornire una guida strategica agli operatori economici.
Questo perché le associazioni di categoria si pongono al livello di congiunzione tra la macro-struttura data dal legislatore (sempre più in difficoltà e sofferente di un deficit di legittimità e funzionalità) e la micro struttura del singolo operatore economico, che opera in un contesto di razionalità limitata in cui dispone di informazioni incomplete, complesse o addirittura contraddittorie.
L’impegno dell’associazione di categoria è, quindi, di guardare “che cosa c’è oltre la collina”, per comprendere quali sono i segnali dell’ambiente competitivo, decifrarli, interpretarli correttamente e fornire proposte capaci di dare una direzione di scelta strategica alla propria base associativa. In una parola, porsi, quindi, come angolo di visione diverso rispetto a quello delle aziende. L’associazione diventa un osservatorio privilegiato, sia di orientamento politico-normativo (verso l’alto), sia di indirizzo per gli operatori economici (verso il basso). Non da ultimo, il livello associativo dispone di dati che, per qualità e magnitudo, la collocano in una posizione di strumento orientativo, da cui riesce a monitorare l’evolversi delle situazioni e a calarle poi sulla realtà dei suoi associati per fornire loro chiavi di indirizzo strategico.
Chiudo riprendendo un passaggio fatto di recente in occasione di un importante evento di settore. Alla domanda postami se l’associazione di categoria vada vista come un “capitano” o come un “soldato”, la mia risposta è che l’associazione deve essere sì un capitano, ma, soprattutto, un capitano che sappia, da un lato, unire tattica e strategia nel leggere e interpretare il campo di battaglia sia per essere avvantaggiato sia per limitare il più possibile le perdite e, dall’altro, sappia tenere uniti e motivati i propri soldati (ossia la base associativa). L’eroismo è sicuramente un valore, ma oggi più che mai occorre evitare che i nostri soldati, ossia le imprese del nostro settore, non si ritrovino a dover combattere l’avversario lanciando una stampella come fece, lui sì eroico, Enrico Toti.
Un augurio di una Buona Estate.