venerdì, 19 Aprile 2024
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Merci su ferro: come liberalizzare e innovare

In poco più di 30 anni, il trasporto ferroviario delle merci in Europa è sceso dal 20% al 10,8%. Eppure, cresce la domanda di mobilità sostenibile, cresce la dimensione dei mercati, aumenta il ruolo strategico della portualità: tutti fattori che dovrebbero favorire un ritorno alla rotaia, così come è avvenuto negli Stati Uniti (dove nel 2007 la quota di mercato è arrivata al 45,3%, con un incremento di 8 punti percentuali rispetto al 1990) e così come vorrebbe la stessa Unione Europa, che dal 1991 ha avviato politiche di rilancio della ferrovia.
La chiave di volta del rilancio del trasporto ferroviario delle merci, a fronte di un mercato sempre più privatizzato è sempre più globale, è nella competitività delle imprese, oggi compresse da un processo di liberalizzazione ancora in mezzo al guado e da un livello di innovazione che stenta a confronto con le altre modalità.
Liberalizzazione e innovazione sono, dunque, i cardini sui quali può girare l’uscio che porta al rilancio del trasporto ferroviario delle merci e a questi due temi il Freight Leaders Council ha dedicato il suo «Quaderno n° 20»,  presentato oggi a Roma, in un dibattito al quale hanno partecipato operatori del settore e autorità politiche.

LA LIBERALIZZAZIONE IN MEZZO AL GUADO
La liberalizzazione ferroviaria, nel settore del trasporto merci, è arrivata, in Europa e nel nostro Paese, a metà del guado», afferma il documento del Freight Leaders Council, ma, aggiunge, «tornare indietro non è più possibile. Le regole europee di accesso sono pienamente operative, e si comincia a formare una dimensione comunitaria del mercato». Per quanto riguarda in particolare l’Italia, il nostro Paese è al 20° posto tra i 27 dell’Unione europea nella classifica stilata nel 2007 dal Rapporto IBM «Global Business Service – Rail Liberalisation Index», con un rating di 734, contro un valore medio di 780. Ma lo stesso rapporto evidenziava come «l’avanzamento dell’assetto normativo fosse molto buono, ma, almeno all’epoca, la situazione dell’accesso al mercato fosse meno soddisfacente».
Le ragioni di tale «condizione di minorità», sostiene il Quaderno FLC, sono sia di ordine industriale che normativo, in una situazione in cui l’ex monopolista, in una logica di mercato, punta a «non erogare più prestazioni a costi incompatibili con il valore del trasporto reso», mentre i nuovi entranti, anziché occupare gli spazi lasciati liberi «si sono concentrati sui segmenti di traffico più attrattivi». Il risultato di tutto ciò è una sostanziale diminuzione dell’offerta complessiva di servizio, anziché un suo rilancio e una perdita di spazi di mercato per i nuovi operatori nazionali, che oprano al momento su nicchie di mercato, ma non hanno la «massa critica capace di assicurare quelle economie di densità che sono necessarie ad assicurare sostenibilità di medio e lungo termine al business». E finiscono per cedere il passo, nelle aree del Nord Italia, dove la domanda è più densa, alle «filiali di operatori internazionali del trasporto europeo, espressione del vecchio mondo del monopolio».
È necessario, allora, secondo il Quaderno FLC, mettere in condizione Trenitalia di competere a livello europeo, allineando i costi di produzione agli standard continentali, in particolare attraverso un confronto tra le parti sociali che porti ad un contratto unico per il trasporto ferroviario che assorba una serie di vincoli (doppio macchinista, flessibilità del personale, rapporto tra personale di staff e di linea), permetta di «operare secondo regole di utilizzazione del personale che siano coerenti con obiettivi di sostenibilità dal punto di vista della efficienza e della produttività, salvaguardando al tempo stesso gli standard di sicurezza dell’esercizio».
Quanto agli aspetti normativi, prosegue il Quaderno FLC, occorrono politiche attive di liberalizzazione, e in particolare:

• «una riforma del pedaggio di accesso alla rete ferroviaria per i treni merci, che vada nella direzione di semplificare il meccanismo di calcolo»;
• una politica di incentivi all’intermodalità tempestiva ed effettiva: il ferrobonus, «sempre annunciato e sinora sempre rinviato», avrebbe bisogno di uno stanziamento di«almeno di 80 milioni di euro all’anno per 5 anni» per poter determinare una decisa inversione di tendenza nella ripartizione modale, con un recupero di competitività dei servizi intermodali in Italia;
• «un riassetto del Gruppo Ferrovie dello Stato che porti fino in fondo il processo di ridisegno istituzionale avviato con la divisionalizzazione e la societarizzazione, realizzando la separazione orizzontale, disarticolando Trenitalia in società separate per il trasporto regionale, il trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, il trasporto delle merci»;
• «una disciplina nell’accesso alle essential facilities (scali merci, manovre, manutenzione, certificazioni del materiale rotabile) che sia orientata a ridurre le barriere all’accesso per i nuovi entranti»;
• «una regolamentazione della sicurezza ferroviaria che sia orientata alla tutela della safety ma che tenga in conto anche degli assetti concorrenziali rispetto agli altri modi di trasporto e dei costi, impliciti ed espliciti, della sicurezza, che rischiano di mettere del tutto fuori mercato il ricorso a tale modalità».
In conclusione «con questo assetto di mercato, se non muta in modo significativo la direzione di marcia, l’effetto sarà che la liberalizzazione indurrà in Italia un ulteriore arretramento competitivo del trasporto merci rispetto alle altre modalità di trasporto: Trenitalia Cargo arretrerà il perimetro della propria operatività, mentre i nuovi entranti non saranno in grado di tamponare la riduzione dell’offerta. Insomma, la liberalizzazione non sarà così una occasione di sviluppo, ma una ulteriore spinta alla marginalizzazione dei servizi ferroviari merci nel nostro Paese».

L’INNOVAZIONE TRASCURATA
«Il sistema ferroviario in genere, e quello italiano in particolare», afferma il 20° Quaderno FLC, nella sua seconda parte, «non solo non si è innovato tecnicamente, ma ha ridotto progressivamente la sua presenza sul territorio. Insomma, è rimasto inalterato sostanzialmente il modello di produzione, mentre il perimetro operativo dell’offerta si è ristretto, limitando ancor di più la gamma delle scelte per i clienti finali». Al contrario, le altre modalità, dal camion, alla nave, all’aereo, hanno sfruttato a fondo lo sviluppo delle tecnologie per offrire al mercato mezzi sempre più funzionali e competitivi, tali da migliorare la qualità del servizio.
Il Quaderno approfondisce il tema, analizzando nel dettaglio l’offerta di tecnologia sia nel settore delle infrastrutture (il «Porto Lungo»: terminali attrezzati per lavorare carichi sempre più forti e ridurre i tempi di movimentazione) che in quello della trazione («Doppia trazione simmetrica» che consenta la composizione di treni fino a 2200 tonnellate, come avviene in Germania, anziché limitarli a 1000 tonnellate, come avviene attualmente).
Ma c’è anche un’esigenza innovativa nelle procedure di accesso alla rete (a cominciare dal riconoscimento della «pari dignità ai treni merci rispetto ai treni passeggeri») e nel settore intermodale migliorando e razionalizzando «l’accesso in rete dei treni che originano e sono destinati ad un centro intermodale o ad un porto».
Le ricadute che si verrebbero a determinare tramite una decisa azione di innovazione nei sistemi di gestione del trasporto ferroviario e delle soluzioni intermodali sono evidenti: aumento della competitività rispetto alla strada (oltre che della sicurezza), snellimento delle procedure, maggiore efficienza ed efficacia del servizio, riduzione di costi verso il mercato, mantenimento e sviluppo della occupazione nel settore.

Luca Barassi
Luca Barassi
Direttore editoriale e responsabile.
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