venerdì, 29 Marzo 2024
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COP 22 deludente… povero clima!

Una COP22 deludente a causa di procrastinazioni: a un anno dalla firma dell’Accordo globale, e dall’entrata in vigore del testo approvato a Parigi da 195 parti, ancora lontanissime le applicazioni sul piano operativo degli obiettivi.

Non particolarmente ricco il parterre dei leaders mondiali ( tra i grandi assenti Obama, il premier cinese, e lo zar russo Putin).

Ma i cambiamenti climatici non aspettano: il 2016 è in corsa per essere l’anno più caldo mai registrato – terzo record di fila dopo 2015 e 2014 – e le parti per milione di Co2 in atmosfera hanno stabilmente superato la soglia 400.

L’urgenza degli appelli si contrappone alla lentezza della governance e questo non è di aiuto al raggiungimento degli obiettivi climatici: non agire immediatamente infatti, rischia di mettere uno stop alla possibilità di frenare gli sconvolgimenti del clima terrestre.

Nel documento conclusivo della COP22 viene chiesto di “andare avanti in maniera propositiva per ridurre le emissioni di gas serra e per favorire gli sforzi di adattamento, beneficiando e sostenendo in tal modo anche l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i suoi obiettivi (Sustainable Development Goals)”, con il massimo impegno politico per combattere il cambiamento climatico quale questione di massima priorità“. Si chiede anche “un aumento del volume, del flusso e dell’accesso ai finanziamenti per progetti climatici, accanto al trasferimento e miglioramento di capacità e tecnologia, incluso dai paesi sviluppati ai paesi in via di sviluppo”, con l’obiettivo – da parte dei Paesi sviluppati – di mobilitare 100 miliardi di dollari.

Ma soprattutto viene chiesta “un’ulteriore azione per il clima, con largo anticipo rispetto al 2020, tenendo conto delle esigenze specifiche e delle circostanze particolari dei paesi in via di sviluppo, i paesi meno sviluppati e quelli particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici “.

Gli obiettivi di riduzione per gli Stati europei sono stati definiti dall’UE attraverso l’Effort Sharing (ovvero la “condivisione degli sforzi” proposta per dare gambe agli impegni di riduzione assunti dal vecchio continente attraverso l’NDC comune presentato all’UNFCCC) e corrispondono per l’Italia alla riduzione delle emissioni nazionali del 33% entro il 2030.

Purtroppo le politiche nazionali vanno in senso contrario. Dall’approvazione di decine di nuove concessioni per ampliare la frontiera estrattiva di energie fossili in terra e in mare, agli investimenti stanziati per infrastrutture stradali e aeroportuali, alla costruzione di 8 nuovi inceneritori che da soli causeranno l’emissione di ulteriori 1.500.0000 tonnellate di Co2 l’anno. La coerenza delle politiche nazionali attuali rispetto agli impegni presi un anno va evidentemente totalmente “contromano”.Tutto (o quasi) rimandato insomma.

Per agire efficacemente contro i cambiamenti climatici serve contemporaneamente una seria assunzione di responsabilità di governi ed imprese, che vada nel senso di disinvestire dalle fonti fossili da subito iniziando – senza attendere oltre – a ridurre l’immissione di CO2 in atmosfera.

 

 

 

 

 

 

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