Il 1° aprile è partita ufficialmente in tutta l'Europa ferroviaria una campagna straordinaria sulla sicurezza dei carri merci, ma in Italia il cargo ferroviario si avvia mestamente verso la chiusura. Lo denuncia Assoferr (Associazione Operatori Ferroviari e Intermodali) ricordando che da oggi in Italia non si potranno più trasportare merci pericolose a traffico diffuso, cioè utilizzando quella filiera del trasporto ferroviario dove possono essere spediti carri singoli, ma solo a treno completo.
L'associazione evidenzia come la tipologia del traffico diffuso, rispetto al treno blocco, sia particolarmente utilizzata dalla piccola e media industria sulla quale si basa l'economia italiana e come con l'esclusione di questo traffico si limiti di fatto l'accesso al trasporto ferroviario ad una buona parte del tessuto produttivo italiano.
Se oggi in Italia si blocca il trasporto di merci pericolose a traffico diffuso – rileva Assoferr – «lo stesso destino toccherà anche ai traffici di merci non pericolose, costretti ora tra l'incudine di una manciata di scali aperti al diffuso ed il martello di richieste di aumento dei prezzi con percentuali a tre cifre. In breve tempo anche i vagoni diretti presso le officine saranno solo un lontano ricordo».
«Purtroppo – sottolinea l'associazione – l'assoluta mancanza di una politica ferroviaria delle merci da parte dei governi inesorabilmente subalterni ai piani industriali FS unicamente votati all'alta velocità passeggeri ha progressivamente distrutto il sistema ferroviario merci italiano sia esso convenzionale che intermodale. Questo peraltro in totale controtendenza con il resto dell' Europa. Trenitalia continua ormai da qualche anno a ritenere il servizio merci non interessante e remunerativo. RFI non investe più a sufficienza nella rete tradizionale adeguandola alle necessità del trasporto merci. Pensiamo solo alla disincentivazione dei raccordi ferroviari e alla necessità urgente di adeguamento degli scali e della rete al trasporto delle merci pericolose. Ricordiamoci che RFI non è una società qualsiasi, ma un soggetto concessionario dello Stato e quindi finanziato con danaro pubblico».
«Ci chiediamo a questo punto – prosegue Assoferr – se non è forse il caso di utilizzare i fondi destinati ad opere faraoniche legate all'alta velocità per rendere invece più sicura ed efficiente la rete esistente. Non dimentichiamoci proprio gli effetti dell'incidente di Viareggio. Non capiamo infatti come a nove mesi dal tragico evento di Viareggio ancora non si sia fatta luce sulle reali cause e responsabilità del deragliamento del treno e della conseguente fuoriuscita di GPL lasciando i parenti delle vittime senza una risposta e tutto il sistema ferroviario merci italiano nell'incertezza più assoluta, esponendolo a strumentalizzazioni e costanti criminalizzazioni che spesso sono frutto solo di disinformazione o peggio di volontà distruttiva come sta avvenendo».
«In questo momento, mentre in Italia il gruppo FS si rende indisponibile a garantire la sicurezza della circolazione – strumentalizzando le azioni dell'Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie (purtroppo poco coordinate con l'Europa), per esempio con la disattivazione delle officine presenti lungo la rete o con la dismissione degli uffici tecnici – rileva ancora Assoferr – in Europa i progetti industriali sono quelli di aumentare sensibilmente il traffico ferroviario delle merci liberando le strade, vera origine di migliaia di piccole Viareggio. La percezione, che ormai è più di una certezza, è che in Italia si pensa di incrementare la sicurezza del trasporto ferroviario fermando tutto il traffico merci. È sicuramente il modo peggiore per rendere giustizia ai 32 morti di Viareggio innescando altre tragedie sociali come quella della disoccupazione e delle stragi stradali».
«In questo tragico contesto – conclude Assoferr – il ministero dei Trasporti, più volte richiamato dalla nostra associazione, non si è ancora purtroppo espresso di fronte allo scempio che viene compiuto ai danni del sistema merci anche con discutibili operazioni di cessione di asset pubblici ad una sola impresa ferroviaria stroncando di fatto una vera liberalizzazione della ferrovia. Ci chiediamo come francamente nessuno in Italia, compresi i sindacati, si ponga il problema di un sistema industriale che va sempre più ridimensionandosi per colpa della politica assurda del Gruppo FS che di fatto favorisce illogicamente i servizi logistici non incentrati sulla ferrovia invece di rendere competitivi i nostri prodotti in export o facilitando l'import di materie prime utilizzando proprio il sistema ferroviario. Purtroppo per noi il 1° aprile non sarà l'occasione di un pesce d'aprile, ma la tragica realtà dell'inizio della fine».
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