lunedì, 20 Ottobre 2025
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VENDITA IVECO. IL PUNTO DI VISTA DI FRANCO FENOGLIO

Oggi è General Advisor di Rolfo, ma Franco Fenoglio ha segnato la storia di IVECO dal 1992 al 2004 quando ne è uscito da Vice President International, Commercial & Business Development. Lo abbiamo raggiunto al telefono per avere un suo commento sull’acquisizione da parte di TATA dell’azienda che proprio quest’anno ha compiuto 50 anni e ha fatto parte della galassia del “Gruppo Fiat”.

L’intervista a Franco Fenoglio

Dunque Dr. Fenoglio, dopo anni che si sente parlare di una vendita di Iveco (addirittura si parlava di Daimler negli anni ’90), l’acquirente alla fine è arrivato veramente. Qual è il primo commento a caldo?

Iveco era in condizioni tali da rendere difficile pensare ad alternative alla vendita. In passato (2010/2012) ci fu un’offerta da un costruttore europeo, ma Sergio Marchionne non volle vendere. Ora, dopo 10-15 anni, gli europei non avevano più opportunità di fare offerte e gli indiani, in espansione e tradizionalmente forti nel proprio paese, hanno colto l’occasione per espandersi a livello multinazionale. Per Tata l’Europa, il Brasile e la Cina sono molto importanti, dato che non sono presenti in questi mercati.

A suo parere, qual è la strategia vera di Tata? Quella di investire e di rafforzare la leadership del marchio o quella di smembrarlo per dare spazio alla produzione indiana?

Tata probabilmente utilizzerà il marchio Iveco, considerato un ottimo marchio in Europa e nel mondo, anche grazie ai suoi motori diesel all’avanguardia. Non credo che il nome Iveco verrà eliminato. Gli investimenti futuri e la scelta di utilizzare componenti italiani/europei o indiani dipenderanno dalla qualità e dalla strategia di Tata. Nel breve termine (un paio d’anni) si cercherà di ottimizzare l’esistente, poi si vedrà la direzione futura. Il pericolo è la delocalizzazione dell’Italia verso altri sistemi pur competitivi, ancora una volta a scapito dell’occupazione. Ricordo che oggi in Italia Iveco impiega 14000 dipendenti, più l’indotto.

C’è chi dice però che gli indiani abbiano comprato più che altro il mercato, cioè la rete, più che il know-how di Iveco. Lei cosa ne pensa?

Gli indiani hanno bisogno della tecnologia europea e quale migliore occasione di approfittare della tecnologia di Iveco da tempo sul mercato, che è di ottima qualità e con prodotti in sviluppo. Nel breve-medio termine, la tecnologia e i prodotti Iveco saranno fondamentali per Tata. Il brand e il marchio dovrebbero essere conservati nel breve-medio termine. In futuro, bisognerà vedere se continueranno a utilizzare componenti europei o passeranno a quelli indiani, considerando le differenze di costo e qualità. Per ora, comunque, i prodotti indiani sono ancora molto più indietro rispetto ai nostri.

Torniamo all’operazione in sé. Secondo lei perché siamo arrivati a dover vendere uno dei gioielli di Exor?

La mancanza di un piano industriale chiaro e condiviso, anche con il sistema paese, ha portato a questa situazione. La Svezia (con Scania e Volvo), per esempio, pur avendo solo 9 milioni di abitanti, ha attuato una strategia industriale precisa, puntando sui camion e sostenendo le aziende (non con soldi, ma aiutando a definire il futuro del paese). In Italia, invece, non si sono avute idee chiare e si è procrastinato sugli investimenti (dal 2010 si sono rimandati per 4-5 anni, sul nuovo pesante stradale), rendendo i prodotti obsoleti e quindi difficili da far competere con gli altri marchi.

Quindi era una scelta inevitabile?

Sì, era una scelta inevitabile, anche se qualcosa si poteva ancora fare grazie alla gamma e ai motori validi. Tuttavia, senza un grande piano di investimenti, era molto difficile andare avanti e questo è un vero peccato perchè ci ha visto perdere un grande asset. Inoltre, ancora più sconcertante è che nel 2010 l’azienda era valutata tra 9 miliardi e mezzo e 10 miliardi, oggi è stata venduta a 3 miliardi e 8: chi l’ha comprata ha fatto un grande affare!

L’immensa galassia del gruppo Fiat ormai si sta smembrando pezzo dopo pezzo. È una strategia che ha cominciato in realtà Marchionne, però accelerata dagli Elkann. È la fine di una generazione di industriali italiani, insomma?

Marchionne ha fatto il possibile con le risorse disponibili. Gli azionisti hanno scelto di investire sempre meno nell’automotive. È sicuramente la fine dell’industria italiana nell’automotive, ma non necessariamente per gli industriali italiani in generale. La preoccupazione maggiore riguarda l’indotto e l’occupazione: smantellando grandi aziende, si rischia di perdere posti di lavoro e opportunità, con gravi problemi per il futuro del paese.

Franco Fenoglio ha sicuramente segnato in maniera decisa la crescita di Iveco negli anni in cui sei stato all’interno di questa azienda? Un po’ di amarezza c’è, vero?

Sì, c’è molta amarezza e, anche se è una coincidenza, c’è amarezza che questa vendita sia avvenuta proprio nell’anniversario dei 50 anni dell’azienda. Negli anni in cui ero in IVECO, Insieme a Boschetti e tutta la squadra, siamo riusciti in 10 anni a portare Iveco da una perdita di 400 miliardi di vecchie lire al positivo, investendo 5000 miliardi di vecchie lire per il rinnovo delle gamme. Vedere la situazione attuale dopo tanto impegno è motivo di rammarico. Gli uomini (e le donne) di quella squadra erano spinti da una grande passione, determinazione e volontà, lavorando anche sabati e domeniche, cosa che oggi manca nei nuovi manager. Per un’azienda come Iveco, che si basa molto sul rapporto con i clienti, la dedizione personale e l’impegno di squadra sono fondamentali.

In una battuta finale cosa vede nel futuro di Iveco?

Potrebbe essere un’opportunità per qualcuno, ma il futuro di Iveco sarà deciso in India, dove verranno formulate le strategie. L’Italia diventerà un mercato secondario, un “fattore insignificante” in una galassia così grande, perdendo centralità e importanza.  Ci sono ancora altri brand italiani come New Holland Construction e New Holland Agricolture… che fine faranno? Speriamo che almeno per queste ci sia una strategia per tenerle in Italia, ma non ne sono certo!

Luca Barassi
Luca Barassi
Direttore editoriale e responsabile
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